Indice
- Giudizio abbreviato e sospensione condizionale della pena: cosa cambia?
- Il caso del GUP di Nola: il quesito alla Corte Costituzionale
- Rinuncia all’impugnazione e sospensione condizionale della pena: Perché questa sentenza è importante per il sistema penale?
- Rinuncia all’impugnazione e sospensione condizionale della pena: quando il diritto sembra rincorrere la giustizia
Giudizio abbreviato e sospensione condizionale della pena: cosa cambia?
La sentenza n. 208/2024 della Corte costituzionale, depositata il 19 dicembre, rappresenta un’attesa svolta per i condannati in giudizio abbreviato.
Come noto, infatti, per effetto della riforma Cartabia, a seguito della rinuncia all’impugnazione, la pena può essere ridotta di un sesto. Nel caso in cui la condanna finale fosse sotto i due anni di reclusione, però, fino a oggi, questa riduzione non consentiva l’accesso ai benefici della sospensione condizionale della pena e della non menzione nel casellario giudiziale.
La Corte Costituzionale ha ora dichiarato incostituzionali le norme che impedivano al giudice del dibattimento (come nemmeno, in caso di incidente di esecuzione, al giudice dell’esecuzione) di concedere tali benefici.
Una correzione necessaria per tutelare il principio di uguaglianza e la funzione rieducativa della pena.
Il caso del GUP di Nola: il quesito alla Corte Costituzionale
La vicenda trae origine dal caso di un condannato in giudizio abbreviato, che, grazie alla riduzione di un sesto della pena prevista dalla riforma Cartabia, si era visto abbassare la condanna a meno di due anni.
Il giudice dell’esecuzione, tuttavia, non aveva potuto concedere – o almeno così riteneva – i benefici della sospensione condizionale della pena e della non menzione, perché non previsti dalla nuova normativa.
Ritenendo la situazione contraria al principio di eguaglianza e della finalità rieducativa della pena, il giudice remittente – il GUP presso il Tribunale di Nola – aveva sollevato la questione di legittimità davanti alla Corte costituzionale.
Rinuncia all’impugnazione e sospensione condizionale della pena: Perché questa sentenza è importante per il sistema penale?
Questa decisione non si limita a correggere una lacuna legislativa – fra le molte espresse dalla riforma Cartabia, ancora recente – ma tocca il cuore della funzione rieducativa della pena, richiamata dall’art. 27 della Costituzione.
Come ricorda il comunicato di Palazzo della Consulta, la sospensione condizionale della pena e la non menzione nel casellario giudiziale sono strumenti di fondamentale importanza per evitare gli effetti negativi di una breve detenzione, come la desocializzazione e il rischio di recidiva.
La Consulta ha sottolineato che l’efficienza del sistema penale non può sacrificare i diritti del condannato. Al contrario, la riduzione di pena accordata in cambio della rinuncia all’impugnazione deve tradursi in un percorso di risocializzazione che consideri l’individuo nella sua interezza.
Tale percorso di rieducazione e reinserimento in società può avvenire anche mediante la sospensione condizionale della pena.
Rinuncia all’impugnazione e sospensione condizionale della pena: quando il diritto sembra rincorrere la giustizia
La sentenza in questione, a mio avviso, ci restituisce una triste verità: il nostro ordinamento penale sembra spesso incapace di prevenire le storture che esso stesso genera, mediante riforme affrettate e non organiche.
Nemmeno la Corte di Cassazione, con riguardo a tali norme, era arrivata in precedenza – secondo la Corte Costituzionale – a una lettura costituzionalmente orientata. La Consulta, infatti, bacchetta il Palazzaccio:
“È pur vero tuttavia che, nelle more del giudizio di legittimità costituzionale, almeno due pronunce della Corte di cassazione hanno escluso il potere del giudice dell’esecuzione di disporre la sospensione condizionale della pena e la non menzione della condanna a valle della rideterminazione della pena ai sensi della disposizione censurata, reiterando sostanzialmente l’argomento della natura eccezionale dei poteri d’intervento sul giudicato del giudice dell’esecuzione (Corte di cassazione, sezione prima penale, sentenze 26 marzo-17 luglio 2024, n. 28917 e 9 luglio-15 ottobre 2024, n. 37899).
Sebbene non si possa ritenere che due sole pronunce – rese in un brevissimo arco temporale – costituiscano già diritto vivente idoneo a essere assunto come oggetto del giudizio di legittimità costituzionale, questa Corte non può che prendere atto della circostanza che, allo stato, la Corte di cassazione ha ritenuto di non poter pervenire ad un’interpretazione costituzionalmente conforme, nel senso appena indicato, della disposizione censurata.
In considerazione delle esigenze di certezza giuridica, che sono particolarmente acute nella materia processuale, appare a questo punto opportuno intervenire, nel senso sollecitato dal rimettente, ad assicurare il rispetto dei principi costituzionali in gioco attraverso una pronuncia di accoglimento additiva”
Ancora una volta, l’intervento della Corte Costituzionale è stato necessario per chiarire una questione che avrebbe dovuto essere ovvia fin dall’inizio.
Io penso che il problema non sia soltanto nelle norme. È l’intero sistema che spesso fatica a guardare oltre il reato, a riconoscere la persona e restituirle la dignità che una condanna non dovrebbe cancellare.
La decisione presa con questa sentenza rappresenta un passo avanti, ma non posso fare a meno di chiedermi se la giustizia che cerchiamo sia davvero vicina o se, invece, resti ancora un traguardo lontano, quasi irraggiungibile.
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