
Indice
- Introduzione sulla messa alla prova minorile
- Il caso: la questione sollevata dal GUP per i minorenni di Bari
- L’intervento dell’Avvocatura dello Stato sulla messa alla prova minorile
- Il parere dell’UCPI e il ruolo dell’amicus curiae
- La decisione della Corte Costituzionale
Introduzione sulla messa alla prova minorile
La recente sentenza n. 8/2025 della Corte Costituzionale ha affrontato il tema della preclusione automatica della messa alla prova per i minori accusati di determinati reati gravi, tra cui la violenza sessuale di gruppo aggravata, a seguito del c.d. Decreto Caivano (d.l. n. 123/2023, convertito in legge n. 159/2023). La questione, sollevata dal Giudice per l’Udienza Preliminare del Tribunale per i Minorenni di Bari, ha posto l’accento su un nodo giuridico di primaria importanza: il bilanciamento tra la funzione rieducativa della messa alla prova minorile e le esigenze di prevenzione generale.
Il caso: la questione sollevata dal GUP per i minorenni di Bari
La vicenda trae origine da due procedimenti penali nei confronti di imputati minorenni accusati di violenza sessuale di gruppo aggravata (artt. 609-octies-609 ter c.p.) e violenza sessuale aggravata (artt. 609-bis-609 ter c.p.).
Il GUP presso il Tribunale per i minorenni di Bari, investito della decisione sulla sospensione del processo con messa alla prova, ha ritenuto di dover sollevare questione di legittimità costituzionale dell’art. 28, comma 5-bis, del d.P.R. n. 448/1988, introdotto dall’art. 6, comma 1, lett. c-bis), del d.l. n. 123/2023, convertito in legge n. 159/2023. Tale disposizione esclude in via assoluta la messa alla prova per specifiche fattispecie criminose, introducendo una rigidità incompatibile con i principi costituzionali del giusto processo minorile.
Come si legge nella sentenza, il Giudice a quo riterrebbe che:
“La preclusione posta dalla norma censurata contrasterebbe con l’intero impianto del processo minorile, il quale – come affermato in più occasioni da questa Corte – ha come precipua finalità, in ossequio al citato precetto costituzionale, il recupero del minore deviante mediante la sua rieducazione e il suo reinserimento sociale, con rapida fuoriuscita dal circuito penale.”
Il cuore della questione: la messa alla prova minorile
L’istituto della messa alla prova nel processo minorile rappresenta uno strumento di primaria importanza, finalizzato alla rieducazione del minore, consentendo l’estinzione del reato a seguito di un percorso di trattamento e verifica. Tale strumento, che la giurisprudenza costituzionale ha sempre ritenuto essenziale nel processo minorile, è stato limitato dalla recente riforma normativa, sollevando interrogativi di compatibilità con l’art. 31, secondo comma, Cost.
La sentenza, giustamente, ricostruisce e sottolinea:
“La messa alla prova costituisce uno dei principali strumenti di valutazione della personalità del minore, anche sul piano dell’apprezzamento dei risultati degli interventi di sostegno disposti. Se, infatti, all’esito dello svolgimento del programma trattamentale di messa alla prova, il minorenne mostra di aver superato le situazioni che hanno condotto alla commissione del reato, il giudice può dichiarare estinto il reato, essendo venuto meno l’interesse all’applicazione della pena, per l’avvenuto raggiungimento della finalità di recupero del minore.”
L’intervento dell’Avvocatura dello Stato sulla messa alla prova minorile
Nel giudizio di legittimità costituzionale è intervenuta l’Avvocatura Generale dello Stato, chiedendo che la questione fosse dichiarata inammissibile o manifestamente infondata. Secondo la difesa dello Stato:
“La scelta del legislatore di precludere l’accesso alla messa alla prova minorile, ancorché solo per due gravissimi titoli di reato, quali la violenza sessuale e la violenza sessuale di gruppo aggravate, mira a contenere la montante onda di gravissimi reati commessi da ‘gang giovanili’. Fenomeno attestato dai dati statistici e del quale i fatti di cronaca avvenuti a Caivano, che hanno dato origine alla suddetta modifica, fornirebbero eloquente testimonianza.”
Il parere dell’UCPI e il ruolo dell’amicus curiae
In senso contrario si è espresso l’Unione Camere Penali Italiane (UCPI), che ha depositato un parere amicus curiae, sottolineando il contrasto della norma con i principi del processo penale minorile. Secondo UCPI:
“L’introduzione di preclusioni assolute all’accesso alla messa alla prova basate sui titoli di reato tradirebbe lo spirito dell’istituto così come delineato anche dalla giurisprudenza di questa Corte, ponendosi in una direzione essenzialmente retributiva e punitiva ispirata alla logica della ‘irrecuperabilità’ del minore se non attraverso la sanzione e il carcere.”
La decisione della Corte Costituzionale
La Corte Costituzionale, nella sentenza n. 8/2025, ha dichiarato le questioni inammissibili per difetto di rilevanza, sostenendo che la norma impugnata non può essere applicata ai fatti commessi prima del 15 novembre 2023 per effetto del principio di irretroattività della norma penale sfavorevole sancito dall’art. 25, comma 2, Cost.
La messa alla prova deve essere considerata come un istituto di diritto sostanziale e, pertanto, le modifiche a tale istituto non possono essere applicate retroattivamente a sfavore dell’imputato.
In ogni caso, io penso che sia importante sottolineare che la sentenza contiene passaggi che aprono alla possibilità di future censure di legittimità costituzionale sulla discutibile rigidità della preclusione assoluta.
“Il divieto assoluto di messa alla prova, nei casi di violenza sessuale di gruppo aggravata, violerebbe pertanto l’art. 31, secondo comma, Cost., sottraendo al vaglio di un giudice specializzato la possibilità di valutare, caso per caso, le condizioni contingenti, per rendere la risposta del processo minorile aderente alla personalità del minore.”
Conclusioni
La pronuncia della Corte Costituzionale rappresenta un punto di equilibrio tra principi costituzionali contrapposti, ma lascia aperte importanti riflessioni sul futuro della giustizia minorile. La scelta di precludere automaticamente la messa alla prova per determinati reati gravissimi contrasta con la natura personalistica del diritto penale minorile, sollevando dubbi di costituzionalità che potrebbero essere riproposti in futuro.
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