Messa alla prova nei reati militari: non è un diritto potestativo, secondo la Cassazione

La sentenza n. 13975/2021 della I Sezione Penale della Corte di Cassazione chiarisce un punto cruciale: la messa alla prova nei reati militari non è un diritto potestativo e la sua concessione non è automatica.

L’ammissione a questo beneficio è subordinata a una valutazione rigorosa da parte del giudice, che deve tener conto della gravità del reato, della condotta dell’imputato e del programma di risarcimento del danno.

Questo principio è stato ribadito con l’annullamento parziale di un’ordinanza del Tribunale Militare di Verona, che aveva concesso la messa alla prova a un militare imputato di furto di energia elettrica.

il caso di specie: furto di energia elettrica in alloggio militare

Il caso in questione riguarda un militare che aveva sottratto energia elettrica da un alloggio di servizio, assegnatogli a tariffa agevolata dall’Amministrazione militare. Nonostante la gravità del reato, il Giudice per le indagini preliminari del Tribunale Militare di Verona aveva accolto la richiesta di sospensione del procedimento per messa alla prova, subordinata al pagamento di una cifra simbolica (500 euro) nei confronti dell’Istituto per Orfani della Marina Militari.

Tuttavia, il Procuratore Generale ha impugnato la decisione, evidenziando l’utilizzo di mezzi fraudolenti da parte del militare e la compromissione del rapporto fiduciario con l’Amministrazione, ritenendo che questi elementi rendessero inappropriata la concessione del beneficio.

messa alla prova nei reati militari: non un diritto acquisito

La Corte di Cassazione ha ribadito che la messa alla prova, introdotta per gli adulti con la L. n. 67/2014, non costituisce un diritto acquisito per l’imputato, ma è subordinata a una valutazione discrezionale del giudice. Per concedere questo beneficio, il giudice deve esaminare attentamente:

  • La gravità del reato commesso.
  • La capacità dell’imputato di non commettere ulteriori reati.
  • L’idoneità del programma di trattamento proposto, che deve essere adeguato a favorire il reinserimento sociale dell’imputato e prevenire recidive.

resipiscenza e risarcimento: la critica della Cassazione

Uno dei punti centrali della sentenza riguarda l’analisi della resipiscenza dell’imputato.

La Cassazione ha sottolineato che la semplice adesione a un programma di lavori di pubblica utilità non è sufficiente per dimostrare un reale pentimento. Nel caso specifico, la condotta del militare non è stata considerata indicativa di una piena consapevolezza del disvalore del reato commesso.

Inoltre, la Corte ha criticato il risarcimento simbolico di 500 euro imposto all’imputato, senza che fosse giustificato da una valutazione adeguata dell’entità del danno arrecato all’Amministrazione. Secondo l’art. 168-bis c.p., il risarcimento del danno deve essere proporzionato sia alle possibilità economiche dell’imputato sia al reale pregiudizio subito dalla parte offesa. La quantificazione del danno, secondo la Procura, deve rispecchiare il “massimo sforzo” esigibile dall’imputato.

criteri di concessione della messa alla prova nei reati militari

La Cassazione ha ribadito che la concessione della messa alla prova nei reati militari deve avvenire solo a fronte di una valutazione completa e precisa del caso. I giudici devono considerare:

  • L’idoneità del programma di trattamento proposto dall’imputato
  • La proporzione del risarcimento del danno rispetto alle capacità economiche dell’imputato e all’entità del danno
  • L’effettivo ravvedimento dell’imputato e la sua capacità di evitare future condotte criminose

In questo senso, la sentenza n. 13975/2021 chiarisce che la messa alla prova non può essere concessa in maniera automatica, ma solo dopo una rigorosa valutazione che tenga conto della gravità del reato e della condotta post-factum dell’imputato.

conclusioni amare: il rischio di una giustizia simbolica

Il rischio da scongiurare, secondo la Cassazione è che la Messa alla Prova si riduca a un semplice atto formale, nel caso in cui vengano previsti risarcimenti simbolici e programmi superficiali.

Nel concedere benefici come la messa alla prova senza un reale ravvedimento, si rischia di svuotare di significato il percorso di recupero.

Il diritto penale militare, in particolare, non può permettersi di essere indulgente senza criterio.

Come ammoniva Giustiniano:

“In legibus magis simplicitas quam difficultas placet”

“Nelle leggi, è preferibile la semplicità alla complessità.”

Quando la semplicità si traduce in superficialità, il prezzo è pagato dalla giustizia stessa.

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